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Lunedì, 28 Marzo 2016

I serbatoi di pensiero, o “Think Tank” sono molto di moda

L’enorme potere dei “serbatoi di pensiero”

I “serbatoi di pensiero”, o “Think Tank” sono fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto in base al quale sono le idee a dominare sia la Storia che la politica (specialmente quella economica), e di conseguenza la nostra vita.

Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle élites a danno della democrazia. Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura: in altri termini se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero i primi “serbatoi di pensiero”, come la Heritage Foundation , il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy In Academia.

La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo in tutto e per tutto. Alcune fondazioni hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government, la The Boss, o la Philanthropy Roundtable; una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti”.

Ancora una volta la politica si mostra per ciò che è: la marionetta del vero Potere. Infatti, l’osservatore attento avrà notato che assai spesso politici, banchieri e speculatori finanziari, si ritrovano a cene o convegni presso queste fondazioni (come ad esempio i forum di Davos o di Cernobbio) nel silenzio quasi unanime dei grandi media. In apparenza sono cerimonie noiose, in realtà ciò che vi accade è che i personaggi di cui sopra vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982, l’Adam Smith Institute pubblicò il famigerato Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite, ove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per la finanza e governi più marginali”.

(di Simone OngariEconomia Democratica)

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Paulownia la pianta sconosciuta fonte di tante energie.

Roma, storia di Alessandro e Fabrizio: i due trentenni che scommettono sulla pianta del surf

 

A Vermicino il laboratorio di una nuova green economy. "Così portiamo in Italia la coltivazione della Paulownia"

Roma, storia di Alessandro e Fabrizio: i due trentenni che scommettono sulla pianta del surf

La paulownia 

PER qualcuno sono i nuovi pozzi di petrolio, per altri solo delle piante dal nome esotico e ancora sconosciuto ai più. Si chiama Paulownia, viene dalla Cina, ne esistono 12 varietà e dal clone creato in vitro, senza nulla aggiungere al Dna, c'è un business pronto ad esplodere. Non ci hanno messo molto a capirlo due trentenni, l'agrario Alessandro Iannone e il project manager, Fabrizio Marangi che dalla loro base logistica a Vermicino sono riusciti a coltivare a Roma diversi ettari di terreno con l'albero del futuro.
Il progetto è partito un anno fa, ma dopo 12 mesi la start up ha chiuso in attivo. "Un successo - ragiona Marangi - anche perché non abbiamo avuto finanziamenti pubblici. Appena ho intuito le potenzialità, ho telefonato ad Alessandro, gli ho detto: "Vieni, abbiamo tra le mani il futuro della green economy". Anche lui ci ha creduto ed è iniziata l'avventura. Per molto tempo siamo andati alla ricerca di terreni incolti per proporre ai proprietari di avviare dei business alternativi. All'inizio non è stata semplice, ma ora c'è anche chi ci viene a cercare".

Si narra che fosse l'albero preferito da Alessandro Manzoni, all'ombra del quale scrisse "I promessi sposi", ispirò D'Annunzio per l'intenso profumo nel giardino della sua abitazione di Pescara. Certo è che dal legno della Paulownia sono nate le chitarre della Fender, quelle utilizzate anche da Jimi Hendrix, ma la tradizione è ancora più antica perché dalla lavorazione dei fusti sono stati creati anche gli zoccoli dei samurai. È ideale per realizzare tavole da snowboard, sci e surf: "Non a caso ci hanno contattato da Santa Marinella, paradiso per gli appassionati di sport acquatici, per avere informazioni perché vorrebbero realizzare una coltivazione per metterla a reddito, cioè per farla crescere e poi da lì ricavare la materia prima per le tavole".

È un legno leggero, due volte più di quello della quercia tanto che viene chiamata la "pianta di alluminio". È più resistente al fuoco del solito legno di faggio. Si asciuga in fretta, è un ottimo isolante e non trattiene molta umidità, qualità prediletta per la costruzione di finestre o porte. Dalle radici della Paulowniasi ricava la radica delle barche. Dei fiori, maestosi e profumati, sono ghiotte le api: il miele ricavato è leggero, trasparente e aromatico, occhieggia al più famoso di acacia. E le larghe foglie sono delle potentissime mangia CO2, ogni ettaro assorbe 1.200 tonnellate di biossido di carbonio pari a quelle emesse da un'automobile nel corso di 100mila chilometri. Per dire stop all'utilizzazione sempre più selvaggia dei boschi, creare oasi di questi alberi è il business di domani.

E nell'azienda agricola 3.0, la Paulownia rientra di diritto. Ci sono delle piantagioni in via della Muratella all'altezza di Fiumicino, altre in via di Malnome, proprio davanti alla discarica di Malagrotta. Sì perché tra le molte virtù dell'albero c'è anche quella di bonificare il suolo e di riuscire a rigenerarlo. Altre stanno nascendo a Tor Bella Monaca, mentre 10 ettari già si allungano a Tarquinia e Montalto di Castro. "Le piante - spiega Iannone - sono prodotte in Bulgaria per abbassare i costi di ricerca, arrivano in piccole zolle ma vorremmo riuscire a produrle qui". L'investimento è economico, ma il rendimento più che vantaggioso. "Un agricoltore - spiega Iannone - su un ettaro investe tra gli otto e i diecimila euro per la preparazione del terreno, poi c'è l'acquisto delle zolle (600 se ne piantano su ettaro) e la prima concimazione. Dopo un anno si effettua la prima potatura e dopo tre anni il legno è buono per essere utilizzato, ma dopo 13 anni la pianta muore. O, meglio, non è più utilizzabile per fini commerciali, ma resta un bellissimo arbusto ornamentale".

Non teme rivali, resistente come la quercia che però impiega 40 anni per raggiungere grandi dimensioni, la Paulownia ce ne mette appena tre. Sopravvive a meno 30 come a più 50 gradi, tanto che anche a Dubai hanno iniziato a capirne le potenzialità. Chissà che anche gli emiri non siano pronti alla svolta green.

Fonte: http://roma.repubblica.it/cronaca/2016/03/27/news/roma_storia_di_alessandro_e_fabrizio_i_due_trentenni_che_scommettono_sulla_pianta_del_surf-136390471/
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Letture sulla Mafia e "Mafie urbanistica" il nuovo libro di Daniela De Leo

Il nuovo volto della mafia non è più quello tipico di una volta, raccontato al cinema e in tanta letteratura. Sempre più camaleontiche, capaci di infiltarsi nella società attraverso la corruzione, le organizzazioni criminali e mafiose oggi la fanno da padrone anche nell’alta finanza e in molti settori stratetigi, ecco un percorso di letture per saperne di più.

Le mani sulla città. Quelle della mafia. Nel libro Mafie urbanistica. Azioni e responsabilità dei pianificatori nei territori contesi alle organizzazioni criminali(Franco Angeli) Daniela De Leo ricostruisce il modo in cui le organizzazioni criminali riescono ad infiltrarsi nel sistema degli appalti e persino della pianificazione urbana. Grazie alla corruzione, ma anche approfittando più semplicemente delle opacità normative, della mancata condivisione delle scelte urbanistiche da parte di chi amministra, per cui poi alle gare non partecipano sempre imprenditori “sani”… Con questa ricerca De Leo sottolinea l’assoluta necessità di indagare, in maniera più sistematica, le relazioni esistenti tra pianificazione urbanistico-territoriale e organizzazioni criminali. Ma racconta anche alcune significative pratiche di contrasto e, soprattutto, ricerche che hanno permesso di porre il problema all’attenzione della comunità scientifica nazionale e internazionale.

Contro la retoriaca dell’antimafia . Libro scomodo, il nuovo lavoro diGiacomo Di Girolamo, Contro l’antimafia (Il Saggiatore), ha l’impeto di un pamphlet contro la retorica dell’antimafia che ha «finito per rendere la memoria un feticcio, svuotandola di contenuti». Giornalista siciliano che ha vissuto come molti altri della sua generazione ha vissuto la strage di Capaci del 1992 come una «chiamata alle armi», Di Girolamo se la prende con «l’oligarchia dell’antimafia» che finisce per fare il gioco della mafia, ostentando un apparato retorico che nasconde il vuoto di azioni concrete. .Autore del libro Messina Denaro, l’invisibile, (sul potente boss di Cosa nostra ancora in libertà), Di Girolamo afferma di non aver mai avuto paura della mafia come oggi, di fronte all’attribuzione di patenti di antimafioso assegnate con troppa leggerezza, di fronte all’impossibilità di fare una critica all’antimafia che storicamente ha avuto grandissimi meriti ma che- accsa il giornalista – «oggi è ridotta alla reiterazione di riti e mitologie, di gesti e simboli». «Questo circuito autoreferenziale, che si limita a mettere in mostra le sue icone nel prete coraggioso, il giornalista minacciato, il magistrato scortato, – scrive Di Girolamo – non aiuta a cogliere le complesse trasformazioni del fenomeno mafioso. In questo modo si insinuano impostori e speculatori. Intorno all’antimafia ci sono piccoli e grandi affari, dai finanziamenti pubblici ai «progetti per la legalità» alla gestione dei beni confiscati, e accanto ai tanti in buona fede c’è chi ne approfitta per arricchirsi, per fare carriera o per consolidare il proprio potere, in nome di un bene supremo».

La mafia non è solo un problema del Sud E’ in uscita il 10 aprile il saggio diAndrea Leccese Maffia & Co (Armando editore) in cui sono passati a vaglio critico alcuni falsi miti sul fenomeno mafioso. A cominciare dal fatto che riguardi solo il sud. “Maffia” è un termine toscano, fa notare Leccese (che nel 2009 ha vinto il premio “Paolo Borsellino”). Scritto con la doppia effe, fino al secondo dopoguerra, era usato anche per indicare ostentazione e boria. «Di fatto la mafia non è un problema confinato nell’area che va dalla Sicilia alla Campania ma, sin dalle sue origini, era più esteso», sottolinea l’autore. Nel libro – ecco il punto centrale – la mafia è analizzata come fenomeno imprenditoriale funzionale, sotto certi aspetti, alla società capitalistica stessa; un fenomeno che riesce ad arricchirsi e soprattutto a infiltrarsi nella società anche in periodi di crisi, per esempio finanziando imprese che arrancano e che trovano solo porte chiuse in banca. L’obiettivo della mafia, scrive Leccese, è anche diffondere una cultura “mafiosa” che superi il recinto dei “mafiosi in senso stretto”imponendo il proprio modo di fare affari, il proprio modo di gestire l’economia e le relazioni.

Per conntinuare ad approfondire:

Federica Angeli , Il mondo di sotto, Castelvecchi, in cui la giornalista ha raccolto le sue inchieste, su racket e corruzione a Roma

Isaisa Sales, Storia dell’Italia mafiosa, Rubettino. Sales analizza la lunga serie di intrecci tra Stato, mafie e società civile. Nel libro la storia della mafia, della ‘ndrangheta e della camorra viene ricostruita dalla nascita nel Mezzogiorno borbonico, allo sviluppo nell’Italia post unitaria, fino al definitivo affermarsi in età repubblicana, fino ai nostri giorni. E’ una sorta di grande affresco storico che individua le ragioni di fondo di un modello criminale il cui successo dura ininterrottamente da duecento anni.
Giuseppe Ayala, Chi ha paura muore due volte, Mondadori:  il giudice Ayala  ricorda i due attentati di Punta Raisi e di via d’Amelio, che segnarono il momento più drammatico della lotta contro la mafia in Sicilia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino restano due simboli, non solo dell’antimafia, ma anche di uno Stato italiano che, grazie a loro, seppe ritrovare una serietà e un’onestà senza compromessi. E molto di più per  Giuseppe Ayala, che di entrambi non è stato solo collega, ma grande amico.
Antonio Calabrò I mille morti di Palermo, Mondadori: Calabrò ricostruisce la «mattanza» degli anni Ottanta. La «Milano da bere».  L’escalation cominciò il 23 aprile 1981, quando fu ucciso Stefano Bontade, «il falco», potente boss di Cosa Nostra. Un omicidio che  scompaginò le file delle più antiche famiglie mafiose, ribaltando gerarchie, alleanze, legami d’affari. Ci sarebbero stati poi centinaia di altri morti . Quasi tutti per mano dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano e dei loro alleati, i Greco, i Brusca, i Marchese.

La foto è di Letizia Battaglia ed è esposta nella mostra Anthologica in corso nello spazio Zac a Palermo fino all’8 maggio

  • Pubblicato in Costume
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